Rendicontazione di sostenibilità: in Europa scatta l’ora X (ma a velocità diverse)

startup e pmi innovative

Nel 2024 ha ufficialmente preso il via l’era della rendicontazione di sostenibilità per le imprese europee. Tuttavia, il percorso tracciato dalla Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) si sta rivelando tutt’altro che uniforme. Con l’approvazione, lo scorso aprile, del Pacchetto Omnibus da parte del Parlamento europeo, sono stati infatti rinviati alcuni obblighi previsti dalla direttiva, soprattutto per PMI quotate e grandi imprese non quotate, con l’intento di ridurre il carico amministrativo nei prossimi anni.

Un passo che, se da un lato alleggerisce l’impatto della normativa per alcune categorie di aziende, dall’altro introduce una frammentazione temporale che potrebbe minare l’uniformità di applicazione tra i vari Stati membri, già messa a rischio dai ritardi nel recepimento nazionale (17 Paesi, inclusi Germania e Spagna, sono già oggetto di procedura di infrazione).

Cosa prevede la CSRD

Approvata nel 2022, la CSRD ha sostituito la precedente direttiva NFRD (Non-Financial Reporting Directive), estendendo in modo significativo la platea delle aziende coinvolte: si stimano oltre 50mila imprese, di cui circa 4mila in Italia.

L’obiettivo è ambizioso: integrare dati ESG (ambientali, sociali e di governance) nei bilanci aziendali, offrendo informazioni trasparenti e comparabili per investitori, società civile e stakeholder. Per farlo, la direttiva impone:

  • Standard unificati (ESRS) per la rendicontazione;

  • Doppia materialità, ovvero l’analisi degli impatti sia sull’azienda sia da parte dell’azienda verso l’esterno;

  • Certificazione indipendente ("assurance") dei dati non finanziari;

  • Tracciabilità digitale, con l’adozione di un linguaggio informatico comune per i dati ESG.

Il nuovo calendario dopo il rinvio

Con il Pacchetto Omnibus, la Commissione europea ha introdotto un calendario ancora più dilatato:

  • Dal 2024: obbligo per le imprese già soggette alla NFRD (in Italia, grandi quotate, banche, assicurazioni e alcuni gruppi industriali rilevanti).

  • Dal 2028: obbligo per le imprese non quotate con oltre 250 dipendenti (rendicontazione riferita al 2027).

  • Dal 2029: obbligo per le PMI quotate (rendicontazione sul 2028).

Sostenibilità: tra opportunità e carico amministrativo

Se la CSRD rappresenta una svolta per la trasparenza e la finanza sostenibile, l’impatto operativo, in particolare su PMI e aziende non quotate, è tutt’altro che trascurabile.

Molte imprese segnalano:

  • mancanza di dati strutturati ESG;

  • carenza di competenze specialistiche;

  • costi elevati per strumenti di monitoraggio e verifica.

In risposta, la Commissione europea punta a una riduzione del 25% degli oneri per tutte le imprese e fino al 35% per le PMI entro il 2029, stimando un potenziale risparmio di 6,3 miliardi di euro annui e lo sblocco di 50 miliardi di investimenti pubblici e privati.

I rischi della disomogeneità

Il vero punto critico della CSRD resta il recepimento disomogeneo tra gli Stati membri. Questo scenario rischia di compromettere:

  • la comparabilità dei dati ESG a livello europeo;

  • la credibilità del reporting sostenibile;

  • l’efficacia della strategia UE nel mobilitare investimenti green.

La sostenibilità è ormai un parametro chiave nella valutazione del rischio e nel posizionamento competitivo delle imprese. La CSRD rappresenta uno strumento cruciale, ma la sua efficacia dipenderà da chiarezza normativa, supporto operativo alle imprese e una rapida omogeneizzazione dei tempi di applicazione a livello UE. Solo così sarà possibile costruire un sistema solido, trasparente e realmente in grado di guidare la transizione sostenibile del tessuto produttivo europeo.

Commercialista Aversa

 

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